Grande Progetto Pompei: come i dati aperti salveranno gli Scavi dalla black-list UNESCO
Il sasso nello stagno, o meglio, il macigno nel fango, fu scagliato a Novembre 2010 dal crollo della tristemente famosa Schola Armaturarum Juventis Pompeiani, conosciuta anche come domus dei gladiatori. Di lì a quattro mesi sarebbe poi stato piantato il primo piolo della scala del Grande Progetto Pompei, ovvero il D.L. n. 34 del 31 marzo 2011, il cui art. 2 si intitola “Potenziamento delle funzioni di tutela dell’area archeologica di Pompei”.
Da aprile a luglio 2011, il coordinamento del MiBAC, DAR e DPS per la definizione degli obiettivi strategici ha prodotto un primo “Progetto Operativo”, documento di inquadramento generale poi presentato al Commissario Europeo J. Hahn, tramite cui sono state instaurate le prime relazione con la Commissione Europea. Successivamente, il 18 ottobre 2011 al suddetto triangolo di enti veniva accostato anche Invitalia, per il supporto tecnico, mentre il 10 novembre 2011 veniva creato lo Steering Committee, l’organo di indirizzo strategico per quello che fu poi nominato “Progetto Pompei”. Il 26 novembre 2011, MiBAC, DAR e DPS lo candidano presso la Commissione Europea come “Grande Progetto Comunitario” (ex Reg. CE 1083/2006). Il 29 marzo 2012 viene approvato il finanziamento di 105 milioni di euro (tra fondi europei e nazionali) per il Grande Progetto Pompei (anche Major Project Pompeii) mentre il 5 aprile 2012, infine, gli viene accostato un “Protocollo di Legalità” mirato alla prevenzione da possibili infiltrazioni criminali.
Tuttavia, dopo tale infervorata gestazione, il GPP ha visto nel suo primo anno di vita ben poche azioni indirizzate all’utilizzo di una mole così imponente di finanziamenti. Ad aprile 2012, difatti, la Soprintendenza Archeologica di Pompei pubblicò cinque bandi per il recupero di alcune domus, ma solo quelli per la Casa del Criptoportico e la Casa dei Dioscuri sono stati finora aggiudicati. Dopo altri 13 mesi, ovvero nello scorso Maggio, sono stati aggiunti dei bandi per la messa in sicurezza dal rischio idrogeologico dei terreni demaniali a confine con gli Scavi, anch’essi in attesa di assegnazione. In generale si evince che, escludendo le opere già finanziate dalla Soprintendenza, oltre alle spese appena specificate e quelle relative alle diagnosi per i lavori da effettuarsi, i fondi effettivamente utilizzati sono decisamente esigui sul totale di 105 milioni disponibili.
Eppure il GPP ha un’ampia articolazione operativo-finanziaria, che può essere sintetizzata in cinque punti:
- Piano della Conoscenza (8,2 mln) per la diagnostica e i rilievi da farsi
- Piano delle Opere, distinto in “a progettualità avanzata” (47 mln) per realizzazione di 39 progetti già redatti su sicurezza, restauri e mitigazione rischio idrogeologico; e “nuove opere” (38 mln).
- Piano per la fruizione e miglioramento dei servizi e della comunicazione (7 mln), ovvero adeguamento servizi al pubblico e promozione
- Piano della Sicurezza (2 mln) per videosorveglianza e impianti
- Piano di Rafforzamento Tecnologico e Capacity Building (2,8 mln) per l’adeguamento delle tecnologie per la gestione, monitoraggio e organizzazione del sito.
In quest’ottica, un Progetto ombrello che anche per definizione è “grande” sembra rivelarsi invece decisamente piccolo. Di qui la conseguenza per cui su siti su Open Data quali Open Coesione, non compaia alcun riferimento ai progetti del GPP (niente Progetto, niente dati!), ad eccezione di quelli della Casa del Criptoportico e sulla “nuova sicurezza per il parco archeologico”, che però è stato finanziato col PON Sicurezza. Vero è che aggiornamenti più frequenti di Open Coesione (l’ultimo risale a febbraio 2013), una gestione unitaria dei dati e delle informazioni relative al “giovane” Grande Progetto, con la possibilità di effettuare mash-up o più genericamente data-manipulation, porterebbero senza dubbio ad un enhancement informativo sia per gli addetti ai lavori che per il cittadino, soddisfacendo la (semplicistica) equazione per cui ai “dati aperti” equivale la somma di “partecipazione”, “consapevolezza” e “trasparenza”. E ciò non vale solo come sterile auspicio, ma è quanto espresso specificamente sul sito del Ministero per la Coesione Territoriale che, volendo far sì che “il Grande Progetto Pompei diventi uno strumento strategico di valorizzazione culturale e attrattiva del territorio” riporta che il Governo si impegna a “informare costantemente i cittadini sulla ratio della policy, sui processi amministrativi, sulla filiera delle imprese appaltatrici, sullo stato di avanzamento degli interventi e sui flussi finanziari relativi e a “recepire le segnalazioni e le proposte dei cittadini che vogliano dare così il loro contributo per lo sviluppo dell’area”.
Se a ciò si aggiunge che lo Steering Committee è tenuto, ogni sei mesi, a “informare il Comitato di Alta Sorveglianza formulando proprie relazioni sulla base dei report che riceve sull’avanzamento delle attività” diventa automatico il passaggio che la richiesta di update puntuali e frequenti sia una vera necessità. Una esigenza che, tra l’altro, è stata chiaramente espressa dall’UNESCO, la cui 37ma sessione del World Heritage Committee, tenutasi in Cambogia e che si concluderà il 27 giugno 2013, invita il Governo italiano, dopo averlo già duramente bacchettato nel 2011 e nel 2012, a completare il Management Plan, di informare il Comitato con report puntuali entro Febbraio 2014 e di aggiornarlo entro Febbraio 2015 secondo i nuovi sviluppi. Pena: in assenza di progressi sostanziali, la possibile iscrizione del sito, in occasione della 39ma sessione del WHC, alla “List of World Heritage in Danger”.
In conclusione, se è doloroso ribadire quanto sia vergognoso non avere un progetto di gestione dopo 15 mesi (e non lo si avrà se non alla scadenza dei prossimi sei), è fondamentale attivarsi con effetto immediato su quello che, più che un Major Project Pompei, sembra un Magnus Puer Pompeiorum. E chissà se, nella fretta di precipitarsi a fare rapporto alla cattedra europea, non si dimentichi di fare, bene e a chiara grafia, i compiti a casa.